N. 04138/2014 REG.RIC.

N. 00980/2016REG.PROV.COLL.

N. 04138/2014 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4138 del 2014, proposto da:
H3g Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Guido Bardelli, Alessandra Maria Bazzani, Jacopo Emilio P. Recla, Andrea Manzi, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, Via Federico Confalonieri 5;

contro

Comune di San Remo, Provincia di Imperia; Ministero Per i Beni e le Attività Culturali, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Claudio Franco, Roberta Minutolo, rappresentati e difesi dagli avv. Ilaria Deluigi, Luca Saguato, Giovan Candido Di Gioia, con domicilio eletto presso Giovan Candido Di Gioia in Roma, piazza G. Mazzini, 27;
Claudia Busnelli, Andrea Farina, Umberto Barberis, Emilia Brezzo, Vittorio Nardi, Marina Scarella, Marco Moraglia, Roberto Romano, Monica Paracchini;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE I n. 00165/2014, resa tra le parti, concernente permesso di costruire impianto di telefonia mobile rilasciato da comune di San Remo il 6.3.2012 ed autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Provincia di Imperia il 28.8.2012.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali e di Claudio Franco e di Roberta Minutolo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2014 il Cons. Lydia Ada Orsola Spiezia e uditi per le parti gli avvocati Mazzeo su delega di Manzi, Scotto su delega di Di Gioia e dello Stato Varrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il presente contenzioso trae origine dall’iniziativa assunta dalla società H3G s.p.a. per la realizzazione di un impianto fisso per telefonia mobile (un’antenna dell’altezza di circa 10 metri, più le apparecchiature accessorie) in Comune di San Remo, lungo la strada comunale “del Poggio”.

Sul relativo progetto la società interessata ha riportato l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Provincia di Imperia (prot. H2/891 del 28 agosto 2012), il parere favorevole dell’A.R.P.A.L. (10 settembre 2012) circa il rispetto dei limiti delle emissioni elettromagnetiche, e il permesso di costruire del Comune di San Remo (6 marzo 2013).

L’autorizzazione paesaggistica e il permesso di costruire (rilasciati rispettivamente dalla Provincia il 28.8.2012 e dal Comune il 6.3.2013) sono stati impugnati davanti al T.A.R. Liguria (r.g. 421/2013) da undici privati cittadini, che si dichiaravano tutti proprietari e/o residenti in immobili prossimi al sito nel quale era prevista la collocazione del nuovo impianto. I ricorrenti esponevano che quell’area ricade sotto un vincolo paesaggistico imposto con apposito provvedimento (d.m. 24 aprile 1985). Denunciavano quindi diversi vizi di legittimità dei provvedimenti impugnati, in primo luogo il difetto d’istruttoria e di motivazione dell’autorizzazione paesaggistica.

2. Il Tribunale amministrativo, con sentenza n. 165/2014, ha preliminarmente verificato la legittimazione dei ricorrenti, giungendo alla conclusione che solo cinque (su undici) avevano dato prova di essere residenti in prossimità dell’area interessata ai lavori, ovvero di essere proprietari di immobili in quella zona. Di conseguenza ha giudicato ammissibile il ricorso limitatamente a quei cinque ricorrenti, dichiarandolo inammissibile nei confronti degli altri.

Nel merito, il T.A.R. ha esaminato congiuntamente i primi tre dei sette motivi dedotti, e li ha giudicati fondati.

In particolare ha preso in considerazione i vincoli, molto penetranti, che gravavano sul sito in questione, e derivavano dal decreto ministeriale 24 aprile 1985, sotto il profilo ambientale e paesaggistico, nonché dalla disciplina urbanistica di cui alla delibera del consiglio comunale 29 maggio 2012 n. 20. Quest’ultima, nel recepire il vincolo paesaggistico ministeriale, dettava prescrizioni di inedificabilità molto stringenti a tutela del “percorso storico alla salita del Poggio”.

Questo insieme di vincoli, a giudizio del T.A.R., ostacolava la realizzazione del progetto avversato dai ricorrenti; e comunque sussisteva, quanto meno, il vizio del difetto d’istruttoria e di motivazione, dal momento che l’autorizzazione paesaggistica non ne aveva tenuto alcun conto, anche perché di quei vincoli non veniva fatto cenno nella “relazione paesaggistica” presentata ai sensi del d.P.C.M. 12 dicembre 2005 ai fini del rilascio di un’autorizzazione “semplificata”.

3. Il T.A.R. ha ritenuto fondati anche il sesto e il settimo motivo di ricorso. Il sesto si riferiva alla circostanza che nell’istruttoria dei provvedimenti impugnati non era stata presa in esame l’ipotesi di utilizzare mediante “condivisione” la preesistente antenna di altro operatore. Il settimo si riferiva all’incompleta pubblicizzazione del progetto.

4. La sentenza è stata appellata dalla società H3G.

Si sono costituiti due degli originari ricorrenti, meglio in epigrafe indicati, opponendosi all’accoglimento dell’appello; si è costituito altresì – con atto di mera forma - il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.

5. Con il primo motivo di appello l’appellante H3G s.p.a. ripropone l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, con l’argomento che gli autori del ricorso collettivo avevano agito per tutelare interessi “eterogenei” e comunque “generici” anziché “individuali”.

Il motivo di appello è infondato.

In materia urbanistica e ambientale contro i provvedimenti abilitativi sono legittimati a ricorrere tutti coloro che hanno uno stabile collegamento con la zona della quale fa parte il sedime sul quale sarà eseguita l’opera. In questo senso è la giurisprudenza consolidata sull’art. 31 della legge urbanistica n. 1150/1942, nel testo modificato dalla legge n. 765/1967 (cfr. da ultimo Cons. Stato n. 1210/2014); ed è significativo che questa giurisprudenza si sia formata interpretando restrittivamente la formulazione della norma sopra citata, la quale attribuiva la legittimazione a ricorrere a «chiunque». Si può aggiungere che in questo contesto s’intende avere uno «stabile collegamento» con una determinata zona il soggetto che è proprietario di immobili nella zona medesima oppure che, pur non essendo proprietario, vi ha la residenza.

Questa è, di fatto, la situazione nella quale si trovano i cinque privati cittadini ai quali la sentenza appellata ha riconosciuto legittimazione ed interesse a ricorrere; per questa parte, dunque, la sentenza deve essere confermata.

6. L’appellante, tuttavia, sostiene che i ricorrenti in primo grado non erano legittimati, in quanto le prescrizioni vincolistiche da essi invocate non erano state dettate specificamente a tutela di un qualche loro diritto o interesse individuale, bensì genericamente a tutela di interessi “diffusi” appartenenti alla collettività indifferenziata.

Questa tesi difensiva appare basata su un errore concettuale, in quanto ignora la distinzione fra l’interesse tutelato che conferisce la legittimazione a ricorrere e il vizio di legittimità dedotto con il motivo d’impugnazione. Una volta riconosciuti la legittimazione e l’interesse a ricorrere (e questo è il caso) non è necessario che la norma che si assume violata coincida con quella da cui deriva il titolo del ricorrente.

7. Quanto, infine, al fatto che il ricorso in primo grado era proposto da una pluralità di ricorrenti, non tutti ugualmente interessati (come ha ritenuto il T.A.R. ritenendo ammissibile l’impugnazione solo con riguardo ad alcuni di loro) si osserva che non è questa una ragione sufficiente per giudicare inammissibile il ricorso nel suo insieme. Una siffatta ragione d’inammissibilità si potrebbe ipotizzare solo qualora i soggetti che ricorrono collettivamente risultassero titolari di interessi non solo in qualche modo diversificati, ma altresì in reciproco conflitto: tali cioè che la soddisfazione dell’uno comportasse necessariamente il sacrificio dell’altro. Ma non è questo il caso.

Concludendo sul punto, il motivo di appello che ripropone le eccezioni preliminari deve essere respinto.

8. Nel merito, la decisione del T.A.R. – sorretta da un’ampia ed approfondita motivazione, che si può intendere qui riprodotta – deve ugualmente essere confermata.

E’ sufficiente osservare che l’autorizzazione paesaggistica appare motivata in modo sommario e apodittico, senza precisi riferimenti ai valori ambientali e paesaggistici tutelati. Essa si sofferma semmai sulla presenza di “serre fatiscenti” quasi che si trattasse di un elemento idoneo a sminuire il valore paesaggistico del contesto ambientale, laddove appare chiaro che l’opera di cui si discute (un’antenna-torre dell’altezza di circa 10 metri) ha una visibilità e un impatto non confrontabile con quello delle vecchie serre, caratterizzate dalla precarietà e dalla modestissima altezza.

D’altra parte va notato che la sentenza appellata non afferma che l’effetto dei vincoli sia tale da precludere in senso assoluto la realizzazione dell’opera; si limita a segnalare che essi dovevano essere tenuti in considerazione e valutati ai fini del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, il che non è avvenuto.

Quanto alla preesistenza di una simile antenna a breve distanza, si osserva che non è questo un elemento sufficiente per ritenere senz’altro assentibile la realizzazione di un secondo manufatto analogo; semmai tale circostanza rendeva pertinente la censura – dedotta in primo grado dai ricorrenti e ritenuta fondata dal T.A.R. – della omessa valutazione dell’ipotesi di “condivisione” o “coubicazione” degli impianti al fine di minimizzare l’impatto visivo.

A quest’ultimo proposito l’appellante sostiene che la eventuale scelta della “coubicazione” produrrebbe risultati ancor meno accettabili sotto il profilo ambientale: ma si tratta evidentemente di argomenti opinabili e soggettivi, non apprezzabili nella presente sede di legittimità, mentre il vizio consiste nel fatto che nell’iter procedimentale l’ipotesi della condivisione non sia stata presa in considerazione e valutata nell’esercizio della discrezionalità amministrativa.

9. Le considerazioni sin qui svolte sono sufficienti a confermare l’annullamento degli atti impugnati in primo grado, salvi gli ulteriori provvedimenti. Non è rilevante in questa sede discutere dell’ultima censura accolta dal T.A.R., in quanto si riferisce ad un problema formale inerente all’iter procedimentale ormai concluso.

10. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

Le spese del grado seguono la soccombenza e, pertanto, vanno poste a carico dell’appellante e sono liquidate a favore dei privati appellati costituiti, nell’importo complessivo di euro 2.500,00 oltre gli accessori di legge, secondo i criteri usuali nella prassi del Consiglio di Stato, non risultando altrimenti quantificate le richieste degli appellati (atteso che, al riguardo, fanno solo un insufficiente generico riferimento al d.m. n. 55/2014), mentre nei confronti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali sono compensate, visto che detta amministrazione si è limitata ad una costituzione di mera forma.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) respinge l’appello in epigrafe e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Pone le spese di questo grado di giudizio, liquidate complessivamente in euro 2.500,00 oltre gli accessori di legge, a carico dell’appellante che le verserà ai privati appellati costituiti, compensate nei confronti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente

Salvatore Cacace, Consigliere

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Angelica Dell'Utri, Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/03/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)