Monday 16 October 2017 17:15:49
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. V del 16.10.2017
Nella vicenda giunta innanzi alla Quinta Sezione del Consiglio di Stato oggetto dell’introduttivo ricorso, sono alcuni provvedimenti del Sindaco di un Comune,
diretti al ripristino della viabilità della strada vicinale denominata “di S. Maria Superiore” e per tali costituenti esercizio del potere sindacale contemplato dall’art. 378 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all.F, il quale configura una ipotesi di autotutela possessoria iuris publici in tema di strade sottoposte all’uso pubblico.
Al riguardo, il Collegio nella sentenza del 16 ottobre 2017 ha ritenuto di doversi conformare al precedente di Cons. Stato, IV, 7 settembre 2006, n. 5209, "dal che consegue che tutte le argomentazione sviluppate dalla parti per dare dimostrazione, con esiti contrapposti, della natura pubblica o privata della strada per cui è causa, sono estranee all’ambito giurisdizionale della presente controversia, che rimane circoscritto all’accertamento dell’uso pubblico di detta strada all’epoca dei provvedimenti in contestazione.
Dunque, poiché l’oggetto del presente giudizio concerne solamente la legittimità o meno dei provvedimenti impugnati, diretti a ripristinare il passaggio pubblico sulla strada vicinale in contestazione, mediante l’imposizione di un obbligo di facere in capo al Piergentili, sussiste la giurisdizione del giudice adito.
Invero, se è pacifico che il giudice amministrativo non ha giurisdizione per l'accertamento, in via principale, della natura vicinale, pubblica o privata, della strada in parola, ovvero della servitù pubblica di passaggio, essendo dette questioni devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, è anche vero che il medesimo giudice ben può (anzi, deve) valutare – incidenter tantum, ossia ai limitati fini del giudizio concernente la legittimità degli atti impugnati – la natura vicinale, pubblica o privata, del passaggio nella strada su cui si controverte, dal momento che tale questione costituisce un presupposto degli atti sottoposti al suo esame in via principale.
Ciò premesso sotto il profilo procedimentale, vanno adesso esaminate le questioni di merito dedotte dall’amministrazione appellante.
Circa la mancata considerazione della presunzione di demanialità, contestata nel secondo, articolato motivo di appello, va rilevato come il primo giudice si sia in realtà conformato al precedente della Sezione, 4 marzo 2010, n. 1266 – dal quale non v’è ragione di discostarsi, nel caso di specie – a mente del quale il requisito della servitù di uso pubblico, secondo consolidata giurisprudenza sussiste soltanto laddove “la strada vicinale possa essere percorsa indistintamente da tutti i cittadini per una molteplicità di usi e con una pluralità di mezzi e conseguentemente il Comune possa introdurre alcune limitazioni al traffico, come per il resto della viabilità comunale”.
La medesima giurisprudenza precisa altresì che – salva l’ipotesi dell’immemorabile (questione affrontata nel terzo motivo di appello), il requisito dell’uso pubblico “insorge dall’inserimento, ricollegabile alla volontà del proprietario e palesantesi nel mutamento della situazione dei luoghi, della strada nella rete viaria cittadina, come può accadere in occasione di convenzioni urbanistiche, di nuove edificazioni o di espropriazioni e tale uso deve essere inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto di uso della strada, palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica” (conforme, Cons. Stato, V, 9 giugno 2008, n. 2864).
Nel fare concreta applicazione di tali principi di ordine generale, il primo giudice ha innanzitutto evidenziato che non è configurabile l’assoggettamento di una strada vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione ad un transito sporadico ed occasionale, anche laddove essa sia adibita al transito di persone diverse dai proprietari o possa servire da collegamento con una via pubblica.
Inoltre, sempre rifacendosi alla giurisprudenza di questa Sezione, ha rilevato come l’esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non possa sorgere per meri fatti concludenti, ma presupponga un titolo idoneo a tal fine. In particolare, laddove – come nel caso in esame – la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell’esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone “un atto pubblico o privato (provvedimento amministrativo, convenzione fra proprietario ed amministrazione, testamento) o l’intervento della usucapione ventennale, fermo restando che relativamente a quest’ultimo titolo di acquisto del diritto va preliminarmente accertata la riconosciuta idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere pubblico” (in questi termini, espressamente, Cons. Stato, V, 1° dicembre 2003, n. 7831, peraltro impropriamente richiamato anche dall’appellante a sostegno delle proprie difese).
Alla luce degli atti di causa, il giudice di prime cure ha ritenuto – con argomentazione che si condivide – che nel caso di specie non sussistessero tali presupposti.
Invero, come del resto evidenziato nella relazione di verificazione disposta nel precedente grado di giudizio, “non sussistono le condizioni di palese uso pubblico della variante alla strada vicinale, nonostante la stessa sia inclusa nell’elenco comunale delle strade vicinali”, in quanto “il Comune non ha mai esercitato su tale strada i poteri di polizia, di regolamento della circolazione e dell’ordine, di controllo tecnico, di manutenzione, di apposizione della segnaletica prescritta e di rilascio delle autorizzazioni e delle concessioni previste dal codice della strada. Inoltre l’uso della strada, anche per carenze strutturali, è sporadico e occasionale, limitato agli usi agricoli o a fini escursionistici”.
Tali circostanze di fatto, a rigore neppure oggetto di puntuale smentita da parte dell’appellante, appaiono del tutto coerenti con lo stato dei luoghi quale risultante dal materiale cartografico fotografico in atti, posto che la stessa vicinale di cui trattasi presenta una larghezza estremamente ridotta per una strada (tra m. 2,30 a m. 2,80), nonché un piano viabile sterrato “pressoché impraticabile in caso di piogge”. Inoltre, ad essere revocato in dubbio è lo stesso uso pubblico (seppur di mero fatto), attuale e pregresso, essendo l’utilizzo di tale transito limitato ai mezzi agricoli dei proprietari finitimi ed, al più, ad occasionali turisti. La stessa chiesa servita dalla vicinale, in passato forse officiata, da moltissimo tempo risulterebbe ridotta allo stato di rudere ed isolata.
Non può quindi considerarsi illogica la conclusione di cui alla sentenza, per cui non sussisterebbero, allo stato, i requisiti del “passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale” e della “concreta idoneità a soddisfare esigenze di generale interesse”, requisiti che la giurisprudenza consolidata considera imprescindibili al fine della connotazione di una strada come di uso pubblico.
Neppure rileva il dato, esclusivamente formale, che nel 1976 il tratto stradale in questione sarebbe stato inserito nell’elenco delle strade vicinali, dal momento che la destinazione ad uso pubblico di una strada è desumibile dall’uso pubblico effettivo della stessa, dalla toponomastica, nonché dalla presenza o meno dell'illuminazione pubblica, unitamente all'inserimento della stessa nella rete viaria pubblica, o mediante un atto negoziale, oppure in modo simile a quanto previsto dall'art. 1062 c.c. per la costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia, mediante una sistemazione dei luoghi in cui sia implicita la realizzazione di una strada per uso pubblico (così Cons. Stato, V, 23 giugno 2003, n. 3716).
Tali rilievi fattuali, come si è detto, non sono stati oggetto di puntuale confutazione da parte dell’appellante, ragion per cui il secondo motivo di gravame andrà respinto".
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