Thursday 28 September 2017 07:36:57
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 27.9.2017
L’art. 31 cod. proc. amm. prevede che «decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere».
Presupposto per la proposizione di questa norma è che sussista un dovere di provvedere che l’amministrazione ha violato.
Nella specie, le parti pubbliche e private hanno stipulato un accordo urbanistico con il quale si è realizzata una cessione di cubatura da un terreno ad un altro terreno.
In ordine alla natura giuridica del contratto di cessione di cubatura, prima dell’adozione dell’art. 2643, n. 2-bis, introdotto dal d.l. n. 70 del 2011, non applicabile ratione temporis, la dottrina e la giurisprudenza hanno a lungo dibattuto. In particolare, un primo orientamento riteneva che si trattasse di un contratto costitutivo di un diritto reale, che alcuni qualificavano atipico e altri, in ragione del principio del numero chiuso dei diritti reali, come tipico e in particolare riconducibile alla servitù di non edificare. Un secondo orientamento riteneva, invece, «si è in presenza di una fattispecie a formazione progressiva in cui confluiscono, sul piano dei presupposti, dichiarazioni private nel contesto di un procedimento di carattere amministrativo; a determinare il trasferimento di cubatura, tra le parti e nei confronti dei terzi, é esclusivamente il provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato, che, a seguito della rinuncia del cedente, può essere emanato dall'ente pubblico a favore del cessionario, non essendo configurabile tra le parti un contratto traslativo» (Cass. civ., sez. II, 24 settembre 2009, n. 20623).
Qualunque sia la ricostruzione preferibile, è certo che si tratta di un accordo che intercorre tra determinati soggetti, proprietari dei fondi, e l’amministrazione comunale.
In questo contesto, l’appellante è un terzo estraneo all’accordo e in quanto tale non è legittimato a pretendere l’esecuzione dell’accordo stesso. Ciò anche in quanto la fase esecutiva presuppone un previo accertamento dell’effettivo inadempimento e delle conseguenze, private e pubbliche, che da quell’inadempimento possono derivare. Non è dunque assimilabile, contrariamente a quanto sostenuto all’appellante, la situazione di obblighi che nascono dalla legge che vietano determinati interventi edilizi con previsione della sanzione della demolizione e di obblighi che nascono dall’accordo tra parti, pubbliche e private, che, involgendo più soggetti, presuppongono una verifica delle reciproche eventuali inadempienze e delle conseguenze che ne possono derivare. Né varrebbe rilevare che l’amministrazione si sia autovincolata con l’adozione di un atto di diffida a demolire proprio in quanto la conclusione del procedimento presuppone la sussistenza di tutti i requisiti sopra indicati.
In definitiva, manca un dovere di provvedere, in ragione della fonte e del contenuto degli obblighi, idoneo a costituire il necessario presupposto dell’azione avverso il silenzio inadempimento.
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