Wednesday 06 December 2017 14:09:50
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio d Stato Sez. VI del 5.12.2017
La Sesta Sezione del Consiglio d Stato nella sentenza del 5 dicembre 2017 ha “premesso in linea generale che, secondo una condivisile impostazione (sulla quale v. Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 4198 del 2011), «l'art. 51, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42, prevede uno speciale - per tipologia e per effetti - tipo di vincolo a bene culturale, prevedendo, per gli ‘studi d'artista’, il divieto di ‘modificare la destinazione d'uso (...) nonché rimuoverne il contenuto, costituito da opere, documenti, cimeli e simili, qualora esso, considerato nel suo insieme ed in relazione al contesto in cui è inserito, sia dichiarato di interesse particolarmente importante per il suo valore storico’, con l'usuale procedimento di dichiarazione dell'interesse culturale dell'articolo 13.
Si deve anzitutto rilevare che questa disposizione del Codice dei beni culturali e del paesaggio replica l'art. 52, comma 1, del Testo unico di cui al d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, e analogamente a quello riordina la norma che era nata con l'art. 4bis d.l. 9 dicembre 1986, n. 832, introdotto dalla legge di conversione 6 febbraio 1987, n. 15, che nel quadro di misure urgenti per i contratti di locazione, escludeva dal rilascio locatizio gli studi d'artista il cui contenuto era tutelato, ‘per il suo storico valore’, da un decreto del Ministro per i beni culturali ‘che ne prescrive l'inamovibilità da uno stabile del quale contestualmente si vieta la modificazione della destinazione d'uso’.
La disposizione del Codice è incentrata sugli effetti del vincolo, ma non ne esplica testualmente i presupposti: vale a dire non dice cosa, analiticamente, si debba intendere per ‘studio d'artista’. Nondimeno, analogamente alla norma originaria, prevede che il vincolo sia introdotto sull'immobile (o sua porzione) ‘per il suo valore storico’, così riconducendo questa specie di vincolo al genus dei vincoli storici, di cui all'art. 10, comma 3, lett. d) del Codice medesimo. E con un tale riferimento essa va integrata, considerando fondamento della tutela l'immateriale storicità di cui il manufatto, con i suoi arredi e per il suo contesto, è documento.
La disposizione manifesta il tratto della sua specialità essenzialmente per ciò che concerne gli effetti: concernendo studi d'artista, vuole che la loro rilevanza culturale venga in rilievo sia sotto il profilo che si tratta di spazi che non possono subire mutamenti della destinazione, e il loro contenuto (‘opere, documenti, cimeli e simili’) non può essere rimosso dalla collocazione originaria senza pregiudicare quella capacità rappresentativa.
L'universitas rerum costituita dallo ‘studio d'artista’ rileva invero come museo della vita professionale dell'artista, traccia visibile dell'unicità delle sue attitudini individuali di produzione e di ricerca. Attraverso questo tipo di vincolo la legge intende preservare non la traccia della vita dell'artista, ma la testimonianza delle condizioni materiali del processo di formazione ed azione che è sotteso alle opere che lo hanno reso famoso: processo che - nel caso di artisti mostratisi capaci di lasciare un segno significativo - è dalla legge reputato realizzare un valore culturale in sé, sempre che si tratti di un livello tale da corrispondere ad un ‘interesse particolarmente importante’, come vogliono sia la norma di specie che quella di genere.
L'interesse particolarmente importante va riferito sia al generale lascito culturale dell'artista, sia all'entità della testimonianza che è condensata nel suo studio - laboratorio e nelle relative vestigia. Lo studio, in altri termini, per le sue caratteristiche intrinseche deve essere tale da rappresentare un fattore primario delle forme della produzione di un artista considerato, a giudizio dell'Amministrazione, particolarmente importante.
L'obiettivo perseguito da questa specifica disciplina di legge è di rendere immodificabile l'ambiente ed i luoghi nei quali operò l'artista, al fine di conservare intatta la testimonianza dei valori culturali in incorporati (cfr. Corte cost., 4 giugno 2003, n. 185)» .
Come è stato rilevato dalla giurisprudenza, «lo studio d'artista va riguardato come ‘universitas rerum’ rappresentativa della vita professionale dell'artista, traccia visibile dell'unicità delle sue attitudini individuali di produzione e ricerca; attraverso questo tipo di vincolo, la legge intende preservare non la traccia della vita dell'artista, ma la testimonianza delle condizioni materiali del processo di formazione ed azione che è sotteso alle opere che lo hanno reso famoso, processo che è dalla legge reputato realizzare un valore culturale in sé, sempre che si tratti di un livello tale da corrispondere ad un ‘interesse particolarmente importante’, come prescritto dalla legge. [...] L'interesse particolarmente importante, d'altra parte, va riferito sia al generale lascito culturale dell'artista, sia all'entità della testimonianza che è condensata nel suo studio-laboratorio e nelle relative vestigia; lo studio, in altri termini, per le sue caratteristiche intrinseche, deve essere tale da rappresentare un fattore primario delle forme della produzione di un artista considerato, a giudizio dell'Amministrazione, particolarmente importante [...].
Quanto ai presupposti per la concreta configurazione di uno studio d'artista, presupposti fattuali che costituiscono altrettante condizione per il legittimo esercizio del potere discrezionale conferito all'Amministrazione, gli stessi sono così sintetizzabili:
1) che l'artista abbia esercitato la sua personale attività di produzione artistica nell'immobile de quo, circostanza che instaura quel peculiare legame tra artista e immobile esplicativo della vicenda della sua propria vita artistica;
2) che, per converso, tale stato di fatto non risulti, al momento della imposizione del vincolo, modificato irreversibilmente e dunque non risulti reciso il nesso sopra individuato;
3) che il collegamento tra l'artista e l'immobile non sia, d'altra parte, occasionale o insignificante.
Al positivo riscontro dei detti presupposti fattuali, potranno dunque ritenersi giustificate le notevoli restrizioni al diritto di proprietà che il provvedimento implica con l'imporre una sorta di inalterabile ‘musealizzazione’ di quel contesto ambientale di produzione artistica, con il tacito supplemento pratico degli oneri di custodia dei suoi contenuti, posto che, come sopra detto, la norma stabilisce restrizioni alla proprietà che si spingono fino alla inamovibilità dello studio e all'immodificabilità della destinazione d'uso dello stabile, e che, come tali, sono ulteriori ed eccezionali rispetto all'ordinario effetto del vincolo storico-culturale, che comporta solo una, pur rigorosa, valutazione di compatibilità degli interventi con i valori oggetto del vincolo.
Da ciò la qualificazione della disposizione come di stretta interpretazione, non giustificante interpretazione estensiva e per converso riguardante le esclusive attività individuali dell'artista a concretare il profilo soggettivo necessario per giustificare il vincolo culturale, come nella disposizione indica, con inequivoca chiarezza, la parola ‘artista’ predicata di ‘studio’» (TAR Lazio, sent. n. 9533 del 2017).
Inoltre, «perché si possa parlare di studio d'artista, deve essere comunque ricreato - fosse pure con qualche limitata approssimazione, spesso inevitabile per le vicissitudini successive alla scomparsa di un autore - tale ambiente, così da conservare un reale collegamento con la vita e con l'opera dell'artista, in peculiare coerenza con la disciplina in esame [...] a contrario, non potrà essere assimilata ad uno studio d'artista una mera raccolta di cimeli a questi riferibili, ove manchi l'elemento costituito dalla sua volontà unificatrice» (TAR Veneto, Sez. II, 24 marzo 2010, n. 939, confermata da Cons. Stato, Sez. VI, n. 4198/2011).
In materia, le valutazioni della Soprintendenza e del Mibact sono espressione di discrezionalità tecnica e sono sindacabili in sede giurisdizionale per difetto di motivazione ed illogicità manifesta, nonché per errore di fatto che faccia emergere l'inattendibilità della valutazione compiuta, non potendo il giudice sovrapporvi la propria
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