Tuesday 06 November 2018 08:06:13
Giurisprudenza Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 31.10.2018
La ratio della disciplina dettata dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 – recante il Codice delle leggi antimafia – in ordine alla confisca dei beni alla criminalità organizzata è di contrastare tale criminalità attraverso l’eliminazione dal mercato, ottenuta con il provvedimento ablatorio finale, di un bene di provenienza illecita, destinandolo ad iniziative di interesse pubblico, che rientra nella piena discrezionalità dell’Amministrazione individuare.
Il vincolo di destinazione impresso dalla citata normativa ai beni con riferimento ai quali sia intervenuta la confisca definitiva, che vengono devoluti al patrimonio indisponibile dello Stato, ne implica quindi l’automatico assoggettamento al relativo regime giuridico, come dettato dagli artt. 823 e seguenti del codice civile.
Stabilisce il citato articolo che “I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano”, demandando all’autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico, la quale ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà.
Il regime giuridico del patrimonio indisponibile dello Stato, cui soggiacciono i beni confiscati alla criminalità organizzata una volta che la confisca è divenuta definitiva, comporta quindi l’incompatibilità dei precedenti utilizzi del bene con la nuova natura acquisita dal bene stesso, la cui destinazione deve formare oggetto di una autonoma fase di valutazione da condursi sulla base di un complesso esame di tutti gli elementi di rilievo e delle soluzioni astrattamente percorribili, l'analisi delle quali non può essere anticipata alla diversa fase dello sgombero del bene confiscato al fine di valutare la possibilità della conservazione dell’uso in atto.
Per effetto della confisca a norma della legislazione antimafia gli immobili acquisiscono, difatti, una impronta rigidamente pubblicistica, che tipicizza la condizione giuridica e la destinazione dei beni, non potendo essere distolti da quella normativamente stabilita ("finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile", ovvero "finalità istituzionali o sociali" in caso di trasferimento degli immobili nel patrimonio dei comuni). Pertanto, va riconosciuto che, a seguito dell'insorgenza del vincolo di destinazione a finalità pubbliche (che rappresenta il nucleo dell'istituto della confisca, ancor prima dell'adozione del provvedimento di individuazione della concreta destinazione prescelta dall'Amministrazione per il singolo bene di cui si tratta), il regime giuridico dei beni confiscati è assimilabile a quello dei beni compresi nel patrimonio indisponibile, i quali devono essere conseguentemente resi liberi da vincoli precedentemente esistenti, e ciò coerentemente con la natura pubblicistica acquisita dagli stessi.
Stante quindi l’incompatibilità di precedenti diritti sui beni confiscati con la natura che gli stessi acquisiscono a seguito della definitività della confisca – incompatibilità tradotta nella previsione di cui all’art. 52, comma 4, d.lgs. n. 159 del 2011, secondo la quale "la confisca definitiva di un bene determina lo scioglimento dei contratti aventi ad oggetto un diritto personale di godimento, nonché l'estinzione dei diritti reali di godimento sui beni stessi" - l'adozione dell'ordinanza di sgombero costituisce per l'Agenzia un atto dovuto, avendo quindi la stessa il potere-dovere di ordinare di lasciare libero il bene, che ha acquisito, per effetto della confisca, la natura pubblicistica che non consente neanche una temporanea distrazione dal vincolo di destinazione e dalle finalità pubbliche, che determinano – come dianzi esposto - l'assimilabilità del regime giuridico del bene confiscato a quello dei beni facenti parte del patrimonio indisponibile.
Tale potere-dovere non è in alcun modo condizionato dalla previa adozione del provvedimento di destinazione dello stesso (Cons. St., sez. III, 23 giugno 2014, n. 3169); infatti il potere/dovere di tutelare il demanio dello Stato di cui si tratta (art. 2-nonies, comma 1, primo periodo, l. 31 maggio 1965, n. 575) in via di autotutela (c.d. autotutela esecutiva) prescinde del tutto dal provvedimento di destinazione (art. 2-decies, commi 2 e 3, l. n. 575 del 1965), il quale consegue ad un diverso procedimento, da attivare successivamente alla definitività della confisca, con riferimento ad un bene, che deve risultare libero da precedenti usi e destinazioni.
Solo nell’ambito della diversa fase procedimentale inerente l’individuazione della destinazione del bene potrà eventualmente essere valutata la possibilità di vendita o di affitto del bene, non potendo tali utilizzi – auspicati da parte ricorrente – essere stabiliti nella diversa fase di sgombero dell’immobile, la cui finalità è unicamente quella di rendere libero l’immobile per le destinazioni che verranno stabilite.
Tali essendo i principi, che regolano la confisca dei beni appartenenti alla criminalità organizzata, ne consegue che, nel caso sottoposto all’esame del Collegio, la pendenza del giudizio in ordine al titolo possessorio dei fondi non esimeva l’Agenzia dall’obbligo di procedere, dovendosi valutare la legittimità del provvedimento in relazione alla situazione di fatto e di diritto vigente al momento in cui lo stesso è stato adottato: nel momento in cui è stata disposta la confisca il signor Marchese Ragona, infatti, non aveva il titolo di legittimo proprietario dei beni, per non essere ancora stato definito il giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Agrigento.
Aggiungasi che la rigida natura pubblicistica del bene, per effetto della confisca, non ne consente nemmeno una temporanea distrazione dal vincolo di destinazione a finalità pubbliche (Cons. St., sez. III, 25 luglio 2016, n. 3324; id. 16 giugno 2016, n. 2682), poiché anche l’attività economica, svolta sul fondo da parte dell’appellante ed oggetto di locazione da parte del custode giudiziario, presuppone l’applicazione delle disposizioni dettate dalla l. n. 575 del 1965 e, ora, dal d.lgs. n. 159 del 2011 per i beni avocati in proprietà dello Stato per effetto della confisca definitiva.
Pertanto, l’esercizio dell’impresa non può esimere l’Amministrazione, per parte sua, dalla doverosa applicazione di tali disposizioni nell’imprimere al bene la destinazione pubblicistica secondo le finalità e nei modi previsti dalla legislazione di settore nel preminente interesse pubblico.
Infine, la tutela dei diritti dei terzi (disciplinata dal richiamato titolo IV; artt. 52 e segg. del codice antimafia) non prevede alcuna forma di prosecuzione del contratti (nella fattispecie, di locazione) in essere al momento della definitività della confisca, fatto salvo l’obbligo dell’Amministrazione di percepire (non canoni di locazione, bensì) la dovuta indennità per l’occupazione sine titulo del bene confiscato sino all’effettivo rilascio. Per continuare nella lettura vai al testo integrale della sentenza.
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