Sunday 03 December 2017 10:12:02
Giurisprudenza Uso del Territorio: Urbanistica, Ambiente e Paesaggio
segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III del 1.12.2017
Sulla possibilità astratta di configurare una responsabilità colposa del proprietario del fondo occupato da rifiuti, che sia rimasto inerte innanzi al protrarsi della situazione di degrado ambientale, la Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 1 dicembre 2017 ha dato conto di un oramai costante indirizzo giurisprudenziale che - pur ribadendo in premessa il coefficiente soggettivo che, in materia di responsabilità da abbandono di rifiuti, deve connotare la condotta degli autori del fatto (ivi incluso, tra questi, il proprietario del fondo) - non manca poi di precisare che la responsabilità del proprietario dell'area, che non sia autore dell'abbandono, può essere affermata anche in altro modo, ovvero dimostrando - sulla base delle circostanze concrete, connesse ad esempio ad un contegno inerte di fronte ad un fenomeno di deposito di rifiuti prolungato nel tempo - che la condizione di degrado ambientale così determinatasi è dovuta a specifici suoi comportamenti disattenti od omissivi.
“In queste specifica prospettiva, la colpa può ritenersi consistere nell'omissione degli accorgimenti e delle cautele che l'ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un'efficace custodia e protezione dell'area, atte ad impedire che possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi (Cons. Stato, sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 84).
4. Tracciate le generali premesse di inquadramento giuridico dei fatti di causa, si deve rilevare che gli stessi individuano - ad avviso del Collegio - una ipotesi peculiare che non si presta ad essere esaustivamente indagata secondo i consueti e sin qui richiamati canoni deduttivi.
Nel caso di specie sussistono , infatti, peculiari dati fattuali e giuridici sufficienti ad integrare il fondamento della responsabilità colposa della proprietario dell’area.
4.1. Sul piano fattuale, diverse circostanze valgono a dimostrare come la condizione di degrado ambientale determinatasi a seguito dell’abbandono dei rifiuti non si sia perpetuata in modo statico nel periodo successivo alla riacquisizione della disponibilità del fondo da parte della proprietaria, ma, proprio in tale frangente temporale, si sia ulteriormente accentuata e aggravata in termini tali da allarmare l’ente comunale, sollecitare l’intervento degli organi preposti alla tutela ambientale e motivare le conseguenti iniziative dell’amministrazione.
Di tanto si trae conferma dalle risultanze delle verifiche condotte in loco dall’ARPA e dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Parma: le prime - riportate nella nota del 27 maggio 2000 dell’ARPA di Fidenza - attestano il rischio di «problematiche anche dal punto di vista igienico-sanitario», conseguenti alla persistenza dei pneumatici in loco e dalla vicinanza di vicini abitati, tali da far suggerire dalla stessa ARPA al Comune interessato, l’opportunità dell’adozione di una ordinanza contingibile e urgente di sgombero dell’area.
Gli esiti delle indagini condotte dai Vigli del Fuoco - riportate nella nota del 27 aprile 2000 - confermano, d’altra parte, le «generali condizioni di elevato degrado igienico sanitarie dell’immobile e delle relative pertinenze».
L’aggravamento del quadro di emergenza conseguente al permanere dei copertoni abbandonati, evidenziato dalle richiamate risultanze istruttorie, si è verificato allorché unica custode e responsabile dell’area era l’appellante; sicché è al suo colpevole contegno omissivo che va ricondotto l’intero spettro di fattori causali che, nello specifico frangente temporale qui in esame, hanno concorso a peggiorare lo stato del fondo al punto da farvi emergere rischi sanitari e di pericolo per la pubblica incolumità.
4.2. Sempre sul piano fattuale, assume rilevanza la circostanza che - nel medesimo lasso temporale - l’appellante, con missiva del 18 aprile 1995 indirizzata al Comune, si impegnava allo sgombero dei pneumatici e chiedeva una proroga temporale per potervi provvedere.
A tale richiesta aveva fatto seguito l’assenso del Comune e la concessione di un termine prolungato sino al 31 dicembre 1995 per il completamento delle operazioni di smaltimento.
Dunque, la manifestata volontà di attivarsi in proprio, conferma ancora una volta la consapevole assunzione di responsabilità, da parte della proprietaria, degli obblighi di ripristino dell’area e di rimozione dei rifiuti.
4.3. Ulteriore ragione di responsabilità della proprietaria del fondo è rinvenibile nel fatto che, a decorrere dalla pubblicazione della sentenza del Pretore di Parma del 1991, l’appellante non ha attivato i rimedi processuali che le avrebbero consentito di portare ad esecuzione, nei confronti del comodatario o dei suoi eredi, il titolo giudiziale con il quale erano state ordinate la restituzione e lo sgombero dell’immobile.
4.4. Da quanto esposto consegue che, nel caso specifico, la responsabilità della appellante non è desunta dal solo fatto che, a distanza di molti anni dall’emanazione dei primi atti formali, permanessero ancora le circostanze che avevano dato luogo alle precedenti ordinanze emesse a carico del comodatario del fondo.
In altri termini, il fatto che la proprietaria sia rimasta inerte nel risolvere la problematica di accumulo dei pneumatici non costituisce un dato neutro, ma, nello specifico contesto sin qui descritto e per le diverse ragioni sopra richiamate, si colora di connotati tali da rilevarne la responsabilità omissiva di tipo colposo, in linea con il parametro normativo di cui all’art. 14 d.lgs. 22/1997.
5. Occorre ora soffermarsi su due ulteriori profili sottesi alla valutazione di responsabilità enunciata nell’ordinanza impugnata.
5.1. Una prima considerazione riguarda il fatto che la posizione del comodante rispetto al bene concesso in comodato non è, come ha sostenuto l’appellante, di totale estraneità ai profili di responsabilità per custodia (si veda in tal senso Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13363, ove si afferma che, in materia di comodato, la clausola che ponga a carico del comodatario tutti i rischi derivanti dalla gestione della cosa data in comodato ha natura vessatoria, non essendo riproduttiva di alcuna regola legale, posto che ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. anche il comodante risponde dei danni derivanti a terzi dalla res commodata, conservandone la custodia; nello stesso senso, Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 1996, n. 8818, per la quale il promittente venditore del bene è ‘custode’ ai sensi dell’art. 2051 c.c., pur a seguito dell’avvenuta consegna del bene al detentore - promissario acquirente per effetto della stipula del preliminare di vendita: ebbene, nella impostazione poi accolta da Cass. Sez. Un, 27 marzo 2008, n. 7930, il promittente venditore altri non è che un comodante, il che conduce a conclusioni conformi al precedente del 2015 innanzi richiamato).
D’altra parte, il comodante, oltre ad un generico potere di vigilanza sul buon utilizzo del bene, ha facoltà di chiederne l’immediata restituzione laddove ravvisi che il comodatario stia tenendo rispetto ad esso condotte inadempienti e scarsamente diligenti, quale quella di servirsi del bene secondo modalità non conformi alla destinazione sua propria o convenuta.
Dunque, non risulta conforme ai principi l’affermazione secondo cui sull’appellante non ricadevano gli obblighi giuridici di custodia del bene (anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 14 del d.lg. n. 22 del 1997) nella fase di esecuzione del contratto di comodato.
5.2. Una seconda considerazione trae spunto dalla constatazione che, nelle more del giudizio, secondo quanto si ricava dalle allegazioni in atti, il Comune ha provveduto in proprio a rimuovere i copertoni dal fondo, sicché un residuo interesse alla definizione della presente controversia permane unicamente in relazione al tema dell’allocazione degli oneri di spesa relativi alle espletate operazioni di ripristino.
In quest’ottica di ragionamento, occorre altresì considerare che - in tutti i casi in cui la bonifica o il ripristino del fondo rimangano a carico della pubblica amministrazione (che così abbia disposto sua sponte o per un obbligo giuridico preesistente, e comunque in un’ottica di salvaguardia dell’ambiente), i privati proprietari o i detentori dei fondi interessati ricavano un vantaggio, in termini di aumento di valore del fondo, che potrà costituire giusta causa di recupero delle corrispondenti somme, nei limiti ordinari delle azioni di arricchimento (potendosi presumere che l’importo così speso, nel determinare l’«impoverimento» della amministrazione, comporti quanto meno un corrispondente «arricchimento»).”
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